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UN CALCIO AL SUPERSANTOS – Il talento sul tappeto: Marco Giampaolo

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“Sono nato a Bellinzona, mio padre era muratore e mia madre operaio tessile. Dopo un po’ sono tornati a casa, ci hanno fatto studiare e ci hanno insegnato che onestà e serietà sono tutto”.

Non c’è dubbio che Marco Giampaolo rappresenti uno dei soggetti più strani del mondo del calcio, uno che sembra quasi essere stato inventato; una figura a metà tra i personaggi folli e senza senso di Bukowski e quelli senza un lieto fine di Shakespeare.

Mister Giampaolo è riuscito in un intento inconscio di crearsi un’immagine all’interno del calcio nostrano, la cui estetica riflette le svariate sfumature di cui si nutre la sua anima calcistica, che lo definisce un filosofo del pallone piuttosto che un semplice allenatore.

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Fino al giugno del 2019, nonostante le numerose “vittorie” sul campo e il modo in cui sono state partorite, Giampaolo mai aveva avuto l’occasione di cimentarsi con il calcio delle big e di avere un’occasione per farsi valere sulla panchina di una grande quadra. Come tanti grandi allenatori, Giampaolo non ha avuto una grande carriera da professionista del calcio. La sua parentesi sul rettangolo da gioco è stata breve e poco fortunata; 10 anni passati a girovagare nelle serie minori, prevalentemente in C1 e in C2, che non riusciranno mai ad eguagliare i primi 4 anni passati con il Giulianova, perlomeno da un punto di vista affettivo.

La prima reale grande occasione nel mondo del calcio, Marco la ottiene come osservatore del Pescara: un dettaglio non di poco conto che giustifica oggi la sua predisposizione innata nel coltivare e nel difendere i giocatori in cui crede, a volte andando anche contro tutto e tutti, anche a costo di mettere a repentaglio la sua posizione. Un po’ come quello che è successo in questi tre anni di Sampdoria, caratterizzati da espressioni alte di gioco contraddette da periodi bui in cui il tunnel sembrava non avere fine.

Spesso è capitato nelle ultime stagioni che i giornalisti gli chiedessero il perché si ostinasse a non cambiare modulo o tipologia di gioco, ma lui, da persona ferma e decisa ha sempre risposto: “Sono alla Samp da due anni e mezzo, non cancello 29 mesi per 20 giorni. Non mi posso far condizionare dall’oggi e da un calcio isterico, ho iniziato un percorso e voglio portarlo a termine con serietà ed ambizione. Cambiare? Sarebbe come se i Rolling Stones si mettessero a suonare il liscio.”

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L’EMPOLI PER RIPARTIRE

Così come accaduto alla sua musa ispiratrice (Sarri), Giampaolo ha fatto una grande gavetta calcistica, che gli ha permesso di sbagliare, riprovare e sbagliare ancora, fino ad arrivare ad elaborare la giusta formula, prima a Siena e poi, soprattutto, ad Empoli.

Con la squadra toscana Giampaolo disputerà solo un anno, dove dimostrerà al calcio italiano tutto il suo talento, deciso a lasciare un segno inequivocabile in un panorama calcistico apparentemente a secco di idee.

L’Empoli si piazzerà al 10° posto e Giampaolo lascerà la panchina toscana per approdare a quella più prestigiosa di Genova, sponda Sampdoria. Nonostante 365 giorni possano sembrare effettivamente pochi per porre le fondamenta di una filosofia di gioco – oltre che per la costruzione di un’identità di un allenatore in cerca di affermazione – quell’anno in Toscana dice molto di più di quanto si possa pensare.

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Ad Empoli, in una squadra composta all’epoca da parecchi giocatori talentuosi (tra i quali Zielinski e Saponara), Giampaolo chiese una sola cosa ai suoi calciatori, prima di qualsiasi aspetto tecnico o tattico: una fiducia incondizionata.

La base tattica del Mister era – come accade ancora oggi – il 4-3-1-2, autentico marchio di fabbrica dell’allenatore, che negli ultimi anni ha fatto di questo modulo la sua cifra stilistica in grado di distinguerlo da qualsiasi altro tecnico.

Tra le varie idee di gioco, quelle che maggiormente ritornano nella storia e memoria di Giampaolo riguardano un preciso impiego di calciatori dalle particolari caratteristiche ed un’attenzione quasi ossessiva rivolta ai ruoli in campo.

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L’Empoli di Giampaolo era fermamente basato sul possesso palla e sulle verticalizzazioni improvvise, con dei centrali difensivi accuratamente scelti per la loro cifra tecnica prima che per le loro abilità difensive, così come i terzini (Mario Rui) e le mezzali (Zielinski), fulcro delle offensive del tecnico e strettamente correlate alle caratteristiche delle due punte e del trequartista, contribuendo ognuno di essi in modo globale alla manovra della squadra, ben oltre la fase realizzativa.

Mister Marco non è il tipo di allenatore che chiede alle sue società nomi importanti, né sforzi economici insostenibili. Lui sa sempre quel che vuole e sa fermamente in chi credere, anche a costo di rimetterci in termini di credibilità con i suoi superiori.

Emblematiche, infatti, le parole di Ferrero (Presidente della Sampdoria) di qualche mese fa: “I numeri di Zapata? A volte strozzerei Giampaolo, ma è il prezzo da pagare per avere un allenatore del genere, la cui filosofia e l’identità di gioco vengono prima di ogni altra cosa. E quindi può capitare di perdere giocatori come Duvan, di cui tutti conoscevamo il valore.”

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Principi fondamentali, sul piano stilistico, delle squadre di Giampaolo sono essenzialmente tre: possesso di palle quasi estenuante, pressing asfissiante e linea difensiva molto alta.

La personalità è il tratto che più contraddistingue i ragazzi di Mister Marco, una personalità che rispecchia in tutto e per tutto l’allenatore nato a Bellinzona.

Mister Giampaolo, come detto, è un personaggio strano, particolare, così come la sua carriera da allenatore. Prima di fare benissimo ad Empoli e Genova, aveva già mostrato un talento fuori dal comune, tanto da esser stato vicinissimo alla panchina della Juventus, saltata poi per la sua proverbiale ‘sfiga’.

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Ma, come sempre, nella vita, il talento, prima o poi, paga e lui non si è mai rassegnato alla normalità. Ha continuato a spingere, a vivere, ad allenare a suo modo, mostrando dei picchi di bel gioco non paragonabili neanche al miglior Napoli di Sarri.

LA SVOLTA

Ecco, allora, finalmente, arrivare la grande chiamata. Alla porta di Giampaolo bussa il Milan. Il mister di Giulianova non ci ha pensato un minuto in più per accettarla.

È ora Mister che comincia il bello, facci capire quanto abbiamo perso in questi anni per non aver dato una chance a uno dei più geniali allenatori del panorama europeo.

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Marco, la meriti tutta quest’occasione. Prendila, falla tua e fa capire al campionato che, anche in Italia, la meritocrazia ed il talento sono capisaldi fondamentali della vita.

Una richiesta, però, mi sento di farla al nuovo allenatore del Milan: resta quel che sei: folle e senza senso. Perché la tua immagine, la tua vera immagine non la mostrerai mai dinanzi alle telecamere, ma solo ed esclusivamente sul tappeto verde.

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