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ESCLUSIVA #LBDV – Marazzina a #ACasaConVlad: “A Torino mi sono battuto per costruire una grande squadra. Su Ulivieri…”

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Il primo appuntamento di giornata con la trasmissione social #ACasaConVlad ha visto come ospite l’attaccante Massimo Marazzina.

Di seguito riportiamo l’intervista completa all’ex Chievo e Torino, tra le altre.

Adesso vivi e lavori a Miami: come state vivendo lì questa situazione di emergenza?

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“La situazione è un po’ più tranquilla rispetto a città come New York e Detroit che non se la stanno passando bene. Qui c’è qualche contagio, qualche decesso ma siamo messi meglio rispetto all’Italia. In Florida siamo molto più tranquilli. Ad esempio, non è obbligatorio mettersi la mascherina e i ristoranti stanno lavorando solo in delivery”.

Cerchiamo di ripercorrere un po’ la tua carriera. Hai iniziato con l’Inter e, nonostante poche presenze, hai fatto bene. È stato un avvio importante per te.

“Ho fatto il settore giovanile in nerazzurro. Il sabato giocavo con la Primavera e spesso mi convocavano in prima squadra. E’ stata una bellissima esperienza e posso dire di aver vinto la Coppa Uefa. Per un giovane, apprendere da campioni come quelli che c’erano in squadra, è sempre utile. A diciotto anni quando ti danno la possibilità di andare in prima squadra vedi tante dinamiche inedite e questo non può che farti crescere”.

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Da lì comincia poi la tua carriera: vai in prestito a Foggia e hai modo di prendere confidenza con il campo in maniera più assidua.

“Vado a Foggia perché c’era Pavone che mi voleva. Forse ho sbagliato perché andare subito in Serie A, dopo la primavera, probabilmente ha fatto sì che si bruciassero le tappe. Lì c’erano comunque giocatori d’esperienza e non ebbi tantissimo spazio, ma avevo tutte le possibilità per poter apprendere ed imparare. L’anno dopo, in B, partimmo per vincere il campionato. Con Delio Rossi in panchina giochicchiavo, poi è stato preso Burgnich e le cose si sono sbloccate. Tarciso era una bravissima persona e di vecchio stampo”.

La scelta del Chievo è stata la svolta definitiva della tua carriera?

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“All’epoca, a dire il vero, non avevo molte pretendenti. Arrivò Giovanni Sartori (DS del Chievo, ndr), ero di proprietà dell’Inter e mi presero da lì. Era una piazza senza particolari pressioni e avevo la possibilità di esprimermi al meglio. La prima stagione l’ho fatta con Malesani, persona difficile da interpretare ma con tantissime idee innovative”.

L’allenatore più particolare della tua carriera?

“Assolutamente Baldini, e credo che l’episodio del calcio a Di Carlo spieghi tutto. Non ci andava d’accordo nessuno con lui, se non io, ma perché siamo due matti (ride ndr). A prescindere dal suo carattere, aveva le sue idee ed era competente, poi in questo mestiere serve anche la fortuna. L’allenatore bravo è quello che fa meno danni e per questo servono tante componenti”.

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Il passaggio alla Reggina:

“A Reggio Calabria, mi chiamò Franco Colomba che mi volle, e poi era una squadra che l’anno prima aveva una squadra importante. Era una bella città e le convinzioni iniziali positive sull’ambiente sono state rispettate. Il problema è che la Serie A dell’epoca era un campionato di alto livello. Diciamo che la squadra era in linea con quello che doveva fare e lottammo effettivamente per la salvezza fino all’ultima giornata. Non era tanto il problema di fare pochi gol. Se retrocedi è più un discorso generale, sono tante cose che non si combinano nel modo giusto”.

Tornato poi di nuovo al Chievo Verona hai trovato Del Neri, che fu l’artefice di una squadra sensazionale.

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“Loro l’anno prima vinsero il campionato in B e quindi l’ossatura era già forte. Eravamo perfetti in campo, alla domenica sapevamo benissimo cosa fare e si lavorava curando anche i dettagli in settimana. Eravamo tutti al posto giusto e posso dire che negli ultimi venti anni, fino ad allora, nessuno aveva giocato meglio di noi. Non eravamo campioni affermati come quelli delle big ed i risultati sono arrivati per merito di tutto l’organico. Del Neri ha dato la sua infarinatura ma ognuno deve fare il suo per arrivare a fare così bene”.

Su Eriberto:

“Noi non sapevamo nulla della situazione che tutti conoscono. Ci dicevano da giorni che sarebbe uscita una bomba, e sinceramente pensavamo fosse qualcosa di mercato. In realtà poi lo abbiamo appreso dai giornali. Se è uscito allo scoperto è perché in un certo senso doveva liberarsi. Dopo abbiamo provato a sdrammatizzare pur rispettando la situazione seria. Quello era un gruppo sano, senza superstar e non c’era nessun tipo di sentimento negativo”.

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Hai particolari rimpianti sul tuo passaggio alla Roma?

“Col senno di poi, sono tutti bravi. Sono andato proprio nell’ultimo minuto di mercato ed ero legato in un certo senso al futuro di Batistuta: se lui andava all’inter, io andavo alla Roma. Se fosse rimasto, invece, io sarei andato all’Inter. Quella Roma era una squadra svuotata, non c’erano più obiettivi e così fai fatica sia a giocare che ad inserirti. Poi fui condizionato anche da un infortunio. Insomma, fu un’annata storta”.

Hai sperato nella convocazione in Nazionale nel 2002?

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“Si. Eravamo in ballotaggio io e Montella e proprio a proposito di questo voglio svelare un aneddoto. Stavamo tornando a casa dopo la trasferta di Udine. La Roma aveva il derby nel posticipo ed in quella serata lui fece quattro gol. Nel pullman i compagni mi prendevano in giro ad ogni suo gol. Alla quarta rete mi arrivò un sms di mia moglie che mi disse: “Mi sa che il sushi lo mangia Montella” (ride ndr.). Trapattoni era venuto a vedere un Piacenza – Chievo per visionare Perrotta, ed io quella sera feci due gol. Ero consapevole di poter essere convocato soltanto qualora qualcuno mancasse per squalifica o infortunio ed è successo quello”.

Quella Nazionale era più forte di quella del 2006?

“Quattro anno dopo erano gli stessi ma con molta esperienza in più. E comunque l’episodio fa sempre la differenza, in positivo o negativo che sia”.

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Poi la Samp, il Modena e l’arrivo a Torino.

“In granata il primo anno fu devastante. All’inizio non ci volevo andare e mi convinse mia moglie a farlo. Quando ero in macchina con il mio procuratore, sembrava stessi andando ad un funerale (ride ndr). Crack societario? I sentori li abbiamo sentiti alla fine, siamo stati pagati fino al mese prima. E’ una squadra con una maglia speciale, pesa addosso. In coppia con Quagliarella? Era un giovane, era reduce dall’esperienza al Chieti, lo aiutai a crescere. Gli ultimi soldi il Torino li ha spesi per me. Per la A mi ero mosso anche per mettere su una grande squadra, chiamando Perrotta e Corradi”.

Allora è reale questa cosa che i giocatori diventano a volte degli intermediari?

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“È normale, è chiaro che la trattativa non la porti avanti tu, però ci sta che un calciatore ti chiama per chiedere informazioni sulla piazza. Avevo fatto i nomi di Perrotta e Corradi perché ero convinto di non fare una cattiva figura visti i personaggi in questione, tuttavia è normale che le cose possono andare bene o male”.

Sul Siena:

“Sono stato a Torino davvero fino all’ultimo. Fu un’estate turbolenta e sentivo già Cairo che voleva investire su di me. Poi mi chiamò e disse che in realtà non sapeva se avrebbe preso la società. Perinetti mi chiamò, mi fece una buona offerta. Sono arrivato in sede al Siena con i calciatori che mi rivolevano”.

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L’esperienza al Bologna prima con Mandorlini e poi con Ulivieri, che tipi sono?

“Bologna è una scelta che ho voluto io: mi sono ridotto lo stipendio ed ho vinto la sfida. Con Mandorlini mi sono trovato bene, non ero d’accordo con il suo addio. Con Ulivieri non mi sono trovato bene per niente invece. Questa fu l’esperienza che mi fece prendere la decisone di non fare l’allenatore. Non è possibile che le cose te le debba insegnare chi sta al proprio da anni con idee molto superate. Mister Arrigoni? Io l’avevo avuto a Torino quando iniziammo il ritiro per la stagione di A. Fu una grande annata per me ed ero convinto fosse la scelta giusta”.

Sui progetti per il futuro:

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“Adesso alcune squadre mi stanno chiedendo di aprire delle academy e lavorare con i bambini privatamente. Quando sono tornato a Bologna abbiamo iniziato dei colloqui, ma la distanza non aiuta e la cosa è finita lì. Adesso sto bene qua, poi non si sa mai”.

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