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ESCLUSIVA #LBDV – Emerson #ACasaConVlad: “Potenza per me è casa. Che ricordo la promozione in A con il Livorno!”
Ospite di quest’oggi della nostra trasmissione social #ACasaConVlad è Emerson Borges, difensore del Potenza, che ha rilasciato alcune dichiarazioni in esclusiva.
Di seguito l’intervista integrale:
Tu sei Brasiliano di nascita, ma praticamente l’Italia ti ha adottato, visto che sei qui da 17 anni. Com’è il calcio in Brasile nelle serie minori?
“Nelle categorie inferiori è seguito pochissimo. E’ un paese molto grande e di calciatori forti ce ne sono tanti e possiamo trovarli in ogni quartiere . Oggi purtroppo seguo poco dal vivo quei campionati ma mi tengo informato attraverso i social. Ma in generale i campionati maggiori sono quelli più attenzionati. I settori giovanili in Brasile sono pieni di talenti, ma molti di essi faticano ad emergere per problematiche di vario tipo. Io ho fatto poco settore giovanile perchè prima era più difficile e mi sono fatto ‘da solo’. Mi considero un calciatore della strada perchè sono cresciuto lì”.
Al Palmeiras non trovi spazio nella prima squadra, tanto che vieni inserito nella squadra B.
Io ero al Jalenense dove collezionai 25 presenze e 13 gol da quinto di centrocampo. A fine stagione, dopo l’ultima partita, dovevo andare al Corinthians insieme ad un altro mio compagno di squadra. Lui, in quella partita, era in tribuna per squalifica, e nel post gara partecipò ad una rissa con i tifosi avversari. Da lì il Corinthians decise di non prendere nessuno di noi due e pagai l’errore di un mio compagno, purtroppo. Tramite il lavoro di un procuratore sono arrivato al Palmeiras, con la promessa di giocare con la prima squadra. Mi sono allenato con la B, alternando allenamenti in prima squadra. Questo viene fatto dai club brasiliani quando hanno in rosa un giovane calciatore a cui non trovano spazio. Allora a quel punto decisi di tornare a casa”.
La prima squadra in cui hai giocato in Italia è l’Atletico Elmas. Ci racconti come si è presentata questa possibilità di venire in Europa?
“Mio cugino giocava a calcio a cinque a Cagliari, fece un provino per l’Atletico Elmas, e lo accettarono. Il mister, a quel punto, gli chiese se conoscesse qualcuno con passaporto pronto a venire in Italia. Accettai dopo la delusione Palmeiras e arrivai a Cagliari. Sono grato a tutte le squadre in cui sono stato, ma quella è stata la prima possibilità di poter approcciare ad una filosofia diversa. Mi sono ambientato bene anche grazie all’aiuto di mio cugino e l’ambiente era tranquillo”.
Questo ambiente ha un po’ allontanato i fantasmi della ‘Saudade’?
“E’ stato facile, anche per la lingua. Guardavo molto telegiornali e sentivo musica. In due mesi riuscivo già a comunicare bene. La volontà di imparare in tal senso mi ha aiutato molto. Prima era più difficile perchè non c’erano i social ed anche comunicare con la propria famiglia non era così semplice”.
Dopo l’esperienza con la Nuorese in Eccellenza, arriva il Taranto. Sfioraste la promozione in Serie B, perdendo ai playoff con l’Ancona. E’ stata una bella esperienza?
“Taranto è stata un’esperienza meravigliosa. Venivo dalla Sardegna in cui ho costruito la mia vita, conoscendo colei che oggi è mia moglie. È stata una scelta difficile, ma avevo 28 anni e volevo confrontarmi con un qualcosa di diverso. Arrivare lì è stato fantastico, è pazzesco il calore che c’è. Il Taranto di allora era una realtà complicata, ma quella piazza merita come minimo la Serie B. È una bella città, con enorme potenziale, ma gestita male, a mio modo di vedere”.
Col Lumezzane ti sei tolto molte soddisfazioni: avete vinto la coppa Italia di Lega Pro di quell’anno e hai conosciuto Davide Nicola, personaggio che poi sarà importante nella tua carriera. Che ricordi hai di quei tre anni?
“Il Lumezzane purtroppo oggi non gioca nei professionisti a causa di alcuni problemi di gestione e della crisi degli ultimi anni del mondo del calcio. Sono arrivato in un ambiente familiare, avevano voglia di valorizzare i giovani e con tanto entusiasmo. Il primo anno abbiamo vinto la Coppa Italia con tanti giovani in squadra ed al terzo anno abbiamo sfiorato i playoff a causa di qualche punto di penalizzazione. Ma meritavamo quella promozione. Davide era il compagno ideale che tutti avrebbero voluto avere in rosa. Una squadra di calcio deve avere un personaggio come lui nello spogliatoio: ti faceva capire ciò che si doveva fare e si vedeva già allora che sarebbe diventato un grande allenatore”.
Capitolo Reggina. In Serie B partite con l’obiettivo di arrivare ai playoff, ma arrivate decimi. Ci sono dei rimpianti in particolare?
“Si può fare sempre di più, quello è poco ma sicuro. Partimmo con quell’obiettivo perché avevamo una squadra molto forte. Tuttavia era un gruppo ancora giovane e non riuscimmo ad essere continui. Era una Serie B di altissimo livello con il Pescara di Zeman, il Torino e la Samp. Poi i vari infortuni ed il cambio allenatore hanno fatto, in negativo, la differenza”.
A Reggio hai avuto modo di incontrare Nicolas Viola, trascinatore quest’oggi del Benevento che sta dominando la Serie B. Si vedeva già che sarebbe diventato un grande calciatore?
“Si vedeva che era portato per una grande carriera, a partire dagli allenamenti in cui faceva notare la sua classe”.
Su Missiroli:
“Per quel livello, era il nostro top player, senza togliere nulla agli altri. Ci trascinava nei momenti più difficili ed era in grado di fare la differenza. Pagammo anche il suo trasferimento al Sassuolo”.
A proposito di Sassuolo, contro i neroverdi hai segnato uno dei tanti gol meravigliosi della tua carriera. Qual è il tuo segreto?
“Mi considero molto pazzo (ride, ndr.). Per fare quei gol bisogna avere un pizzico di follia, soprattutto se sei un difensore. Quando ero ragazzo, amavo giocare a calcio e adoravo il modo di giocare di Roberto Carlos. Poi, allenandomi nel professionismo, mi ha aiutato tanto lavorare con l’elastico. Anche con le rimesse, sono migliorato facendole con un pallone medico”.
I quattro anni al Livorno rappresentano il punto più alto della tua carriera, almeno per quanto concerne i risultati.
“E’ stata una parentesi meravigliosa, non solo calcisticamente parlando. E’ il posto in cui sono rimasto più tempo, raggiungendo il top della mia carriera. Quando vesto una maglia di calcio rappresento la città per cui gioco ed è un onore per me. C’è gente che in tribuna vorrebbe essere al posto mio e devo ricambiare il loro affetto ai colori con il rispetto. Io mi ritengo calciatore solo per i novanta minuti; una volta tornato a casa, sono una persona come tutte le altre”.
Nel primo anno in Serie B hai totalizzato 45 presenze e 3 gol, arrivando a vincere la finale playoff contro l’Empoli. Che ricordi hai?
“Emozioni a non finire, perchè si è creato in quella stagione un qualcosa di veramente fantastico. C’è stata una coesione nelle idee fin da subito e le cose si sono collegate naturalmente. In questo è stato fondamentale Nicola. Era un grande gruppo, a partire da coloro che sono ‘dietro le quinte’, ma che svolgono un lavoro prezioso per noi calciatori. Sono cose ti rimangono per tutta la vita. Il gruppo fece una sorta di scommessa e molti hanno tatuato sulla pelle la data della promozione in A. E così ti rendi conto che tutti i sacrifici vengono ripagati. Ai giovani dico sempre che quando fanno qualcosa, devono dare tutte le loro forze. Le cose brutte possono capitare, ma quando ti arriva la cosa bella è il coronamento di tanti sacrifici, ed è bellissimo”.
E così esordisci in Serie A a 33 anni. Tanti i campioni che hai sfidato.
“E’ stato fantastico perchè li ho capito che i sogni si avverano sul serio se ci credi. Da piccolo, che giocavo sui campi di terra battuta, ho sempre sognato certi palcoscenici. Quando sono arrivato all’esordio in A contro la Roma e mi sono ritrovato Totti ho ricordato di quando ero piccolo che volevo diventare un grande calciatore. Sono tante le persone che mi hanno aiutato nel mio percorso calcistico ed umano. È soprattutto grazie a loro se ho coronato il mio sogno”.
Quella stagione non andò malissimo: il Picchi era uno stadio difficile per tutti. Quei 25 punti a fine campionato magari potevano essere di più.
“Il Picchi era il nostro fortino. Purtroppo, tra alti e bassi, ci sono stati momenti difficili. E poi ci sono state contestazioni, infortuni e la poca dimestichezza con la categoria. Quello sicuramente ha influito, dato che tra Serie A e B c’è un abisso”.
Contro il Torino hai segnato uno dei tuoi numerosi gol da cineteca. Quella fu una partita rocambolesca, a dir poco.
“Quella è stata una partita pazzesca. Il Torino giocava benissimo quell’anno e noi venivameno da due risultati utili. Il rammarico ti rimane sempre perchè vincere una partita così pesante avrebbe potuto darci una spinta in più“.
Altro gol meraviglioso è quello messo a segno contro il Cagliari che, come detto prima, è stata la terra che ti ha cresciuto. Cosa si prova a segnare in una partita così ricca di emozioni?
“In quell’azione un altro calciatore avrebbe passato ad un compagno; io invece la calciai e mi andò benissimo. I miei amici mi volevano uccidere (ride, ndr.). E’ stato bellissimo, e non ti nascondo che per un periodo ho sognato di vestire la maglia rossoblù. D’altro canto ho comunque vestito maglie importanti, compresa quella del Livorno”.
In quegli anni hai giocato anche con Belfodil, calciatore inesploso. Era davvero così promettente?
“In allenamento era una cosa fantastica, sembrava Ronaldo. Poi ha trovato poco spazio con noi, non ha avuto la possibilità di esprimersi e gli è mancata la continuità per problemi extra campo. Ma era davvero forte”.
Arriviamo ad oggi e a quanto stai facendo con la maglia del Potenza, una realtà che ha tanto entusiasmo e ha tanta voglia di calcio.
“Parlare di Potenza è come parlare di casa mia. Qui possiamo vivere tranquillamente, ma nello stesso tempo con il grande entusiasmo della città. Qui c’è solo il calcio purtroppo e quello per me è una cosa negativa ma anche una cosa positiva per la squadra. Non è facile oggi vedere le famiglie andare allo stadio e vedere una piazza così calorosa è davvero gratificante. Credo anche che per i miei compagni sia lo stesso”.
A proposito dei tuoi compagni, ce n’è uno in particolare che merita una menzione, vale a dire Carlos França, calciatore che avrebbe potuto fare molto di più. Che persona è?
“E’ il nostro capitano, che sa suonare la carica, che ha sempre la parola giusta al momento giusto. E’ un ragazzo semplice, ha una famiglia bellissima ed il suo credo è molto importante per lui. Nel calcio, così come nella vita, c’è sempre di mezzo il destino. Ci sono vari episodi che ti possono condizionare o che magari ti portano a fare scelte sbagliate. L’importante è fare quello che devi fare al 100% delle proprie possibilità”.
Il tuo compagno di squadra più forte con cui hai giocato in carriera?
“Ne ho avuti tanti forti che magari non hanno fatto carriera, ma quello più forte per me è stato Paulinho. Era devastante”.