Napoli
ESCLUSIVA #LBDV – Romito #ACasaConVlad: “Ammutinamento? I calciatori non sono macchine”
Secondo ospite di oggi #ACasaConVlad è Tommaso Romito, ex difensore del Napoli che ha rilasciato alcune dichiarazioni nel corso della diretta.
Di seguito proponiamo l’intervista completa.
Come nasce la tua carriera da calciatore?
“Tutto nasce dalla voglia di giocare semplicemente a calcio. Prima si giocava per strada tutto il pomeriggio, adesso invece i bambini non sono più abituati. Il Bari mi vide durante una partita amichevole e mi fece entrare nel settore giovanile, facendo tutta la trafila. Da lì poi sono andato in prestito al Chieti che è stata la mia prima esperienza tra i professionisti. Lì sono stati due anni e mezzo veramente belli. Il tutto prima di arrivare proprio a Napoli che per me è stato il trampolino di lancio della mia carriera”.
Arrivi in un Napoli che era il primo dell’era De Laurentiis.
Ricordo ancora la chiamata di Pierpaolo Marino. Non volevo crederci, pensavo fosse uno scherzo. Ma un ex dirigente del Chieti, Giuseppe Tambone, mi avvisò dopo tre minuti che Marino mi stava cercando.
Quella squadra era molto forte:
“Tranne forse proprio io che ero l’unico giocatore di categoria, gli altri erano tutti i giocatori con un curriculum veramente di un certo spessore”.
Cosa ti ha colpito di più di quest’esperienza?
“La prima partita al San Paolo, che tra l’altro seguii da spettatore perché ero squalificato. Rimasi stupito perché vedere quello stadio così caldo è stato troppo bello, non vedevo l’ora di giocare. E poi certamente proprio l’esordio con la maglia del Napoli è un altro momento che porto nel cuore”.
Su Reja:
“Faceva quasi paura all’inizio perché era molto serio. Invece dopo si è aperto e scherzava con noi. È un uomo di gruppo. Rimontammo ed arrivammo terzi. Si venne a creare un grande entusiasmo e venne fuori tutta la sua capacità di costruire uno spogliatoio sano”.
Oltre a Reja, quale allenatore ti ha impressionato di più?
Ce ne sono diversi che mi hanno colpito, sia dal punto di vista tecnico che umano. Sicuramente posso dire di Fontana, che ho avuto anche come compagno di squadra. Una persona molto preparata è Braglia, poi ho avuto anche Di Francesco a Pescara. Una persona con cui non mi sono trovato particolarmente bene è stato Antonello Cuccureddu, per svariati motivi. Poi sempre in Abruzzo ho avuto Zeman, che non ama molto avere attorno gente esperta ma preferisce lavorare con i giovani che abbassano la testa e pedalano”.
Dopo Napoli c’è stata la parentesi di Salerno.
“Chi mi conosce bene sa che è stata una scelta sofferta, non per la città e non per i tifosi che sono andato ad incontrare. Però ho avuto tanta tristezza ad andarmene da Napoli, perché non avrei mai pensato di andare via dopo aver vinto un campionato da protagonista, pur sapendo di non giocare titolare. Infatti si vociferava già degli arrivi di Cannavaro e Domizzi. A me sarebbe piaciuto rimanere, anche a costo di stare in panchina. Ma la società fece la sua scelta ed andai a Salerno”.
Dopo Salerno arrivi a Pescara che è per certi versi un’esperienza gratificante.
“È stato un periodo bello della mia carriera, ma c’è anche il rovescio della medaglia. In quel periodo ho dovuto effettuare scelte veloci che poi ho pagato. Diciamo che quello è stato l’inizio della mia fase calante. Sono andato in prestito a Lanciano dove ho trovato una società seria in cui mi sono trovato bene. Potevamo fare anche meglio ma ci togliemmo comunque molte soddisfazioni. Sono rientrato dal prestito e sono dovuto andare via per ovvie ragioni. Da lì, ripeto, furono prese decisioni affrettate. Il calciomercato non ti dà il tempo per decidere”.
La tua carriera finisce a Nocera:
“Per gli episodi che sono successi, preferisco non espormi più di tanto. Posso solo dire che certe cose non sono vere, ma che certe partite non dovevano essere giocate. Al contempo venivo comunque da un infortunio e quindi da lì ho deciso di dire basta a trentuno anni e mezzo. Diciamo che, in seguito, ho provato una sorta di repulsione per il calcio”.
Voltando completamente pagina, verrebbe da dire.
“Ero rimasto senza contratto e ad inizio marzo mandai il mio curriculum ad un’impresa di servizi dentali. Riuscii ad avere un colloquio e fui assunto. Ho iniziato questo percorso che mi ha portato oggi ad avere un’attività tutta mia con dodici dipendenti”.
L’attaccante che più ti ha messo in difficoltà?
Uno che mi ha messo in difficoltà e con cui ho giocato anche è Raffaele Biancolino. Sarà perché mi conosceva già, ma era rognoso e difficile da marcare. E poi ho incontrato tanti altri attaccanti forti, tra cui Arturo Di Napoli”.
Continui a seguire il calcio?
“Non molto. Sono comunque informato. Una volta ero a Napoli da un cliente e nemmeno sapevo ci fosse la finale di Champions quel giorno in TV (ride, ndr)”.
Sul futuro dei campionati:
“Il problema sarà soprattutto dal punto di vista fisico. Secondo me, riprendere un campionato dopo due mesi di stop, quando un calciatore non è mai stato più di un mese fermo, si va in difficoltà. Si deve rifare una preparazione intera e sarà impensabile mantenere certi livelli. Spero si inizi a pensare ad un nuovo campionato, anziché a recuperare quello vecchio, anche se i problemi rimarranno soprattutto per coloro che grazie al calcio sopravvivono”.
Sull’ammutinamento ed i problemi di spogliatoio in casa Napoli.
Spesso chi vuole fare il padre padrone, senza margini di collaborazione, fa diventare tutto più complicato. È vero, il calciatore non deve comportarsi in un certo modo, ha le sue responsabilità che non sono poche, però i giocatori non sono macchine. La scelta del ritiro può essere più o meno discutibile, però non va resa pubblica. Con questo non voglio andare nè contro la squadra nè contro De Laurentiis stesso che è un signor Presidente. Ha portato il Napoli dal basso fino a certi livelli. Tuttavia secondo me la storia poteva chiusa in modo diverso”.
Se ti si dovesse ripresentare l’opportunita di tornare a giocare?
“Sono stato dal commercialista poco prima del Coronavirus e mi disse che mi mancano un anno e tre mesi per prendere la pensione da calciatore (ride, ndr.). C’è stato questo rifiuto verso il calcio, ma non nascondo che spesso mi salga la nostalgia”.
I momenti che ti sono rimasti nel cuore?
“L’esordio col Chieti sicuramente, così come quando la curva del Napoli mi omaggiò il giorno del mio compleanno ed il primo gol in maglia azzurra. Anche il Trofeo Birra Moretti è un momento che non posso mai dimenticare. C’erano sessantamila persone allo stadio e noi compagni ci guardavamo increduli ad affrontare certi campioni. In quella sera scambiai anche la maglia con Adriano”.
Sui giovani italiani:
“Tutti parlano dei vari Donnarumma, Tonali, Romagnoli e via dicendo. Ma quello che manca oggi alla Nazionale è un grande nome in attacco. I vari Immobile ed Insigne sono ottimi calciatori, ma non hanno quella fama mondiale paragonabile ai calciatori di anni fa”.
Sull’episodio nella partita contro la Juve Stabia:
“A Castellammare mi hanno fatto un monumento (ride, ndr.). Ci fu un difetto di comunicazione grossolano tra me e Iezzo, tanto che io e lui venimmo accusati di cose gravi, essendo Gennaro di Castellammare. Cose che non corrispondono al vero, ovviamente”.
Come vedi Gattuso?
Mi auguro che possa fare bene a Napoli. Sta dimostrando molto ed è un allenatore che risponde all’identikit adatto per la panchina azzurra. È arrivato come una sorta di mister x e ne sta uscendo bene. Anche per lo stesso Sarri è stato così. L’augurio è che questo stop faccia un po’ azzerare tutto e dimenticare quanto successo nei mesi scorsi all’interno dello spogliatoio”.